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Franco Miozzo: Icaro

Franco Miozzo: Bassorilievo

Chiesa SS. Sacramento

Franco Miozzo nel suo studio

Franco Miozzo, con Jacques Lipchitz e l'architetto Pierotti

Franco Miozzo e Viliano Viacava

Prefazione 

La versatilità di Franco Miozzo

di Lodovico Gierut

Il fatto d’essere il massimo conoscitore dell’Opera di Franco Miozzo, e di averne opportunamente collocato il nome nelle vicende d’arte di cui mi sono occupato a vario livello guardando con un’ottica dapprima giornalistica, quindi mediante un’approfondita analisi da critico d’arte – senza ovviamente tralasciare d’indagare, da storico, alla collocazione in uno specifico ambito artistico-culturale – mi fa subito dire che il suo lavoro è stato così ampio per visione mentale e come versatilità, da consentire nel futuro altri preziosi apporti.

Non penso necessario trarre, se non in estrema sintesi, qualcosa di quanto già inserito in vari volumi (1) ricchi di interessanti note bibliografiche e di interventi, quali “Il “San Martino” di Franco Miozzo” col suo esplicativo sottotitolo – che già di per sé è un monumento, ovvio per chi può capirlo o accettarlo – L’arte, la forma e la luce d’un artista che è stato il respiro del Novecento versiliese, e “In Franco Miozzo”, tuttavia è bene rammentare ciò che lo storico dell’arte Andrea B. Del Guercio scrisse in un equilibrato saggio del 1985 (2): “(...) se una conclusione si può avanzare ad una storia artistica ancora in grado di migliorarci, è sicuramente quella per cui ci troviamo di fronte ad un artista responsabilmente completo e che dovremo iniziare a vedere presente nella storia della cultura visiva contemporanea italiana”.

Io aggiungo: e non solo!

Sì, a questo punto spezzo ancora una volta una lancia affinché la collocazione di Miozzo sia stabilizzata non soltanto entro, ma ben oltre i confini nazionali, dato che la lettura concreta di ciò che ha espresso in tanti anni di inesausto impegno (era del 1909 e la sua ricerca può essere datata, come perentorio inizio, col 1929) s’è sviluppata nell’alternanza figurativa e astratta, segnica-scultorea-pittorica sino alle ultime settimane di vita, consentendo di comprenderne quello spirito che ha vissuto con pienezza e coerenza sia le intense frequentazioni in loco (della “sua” Versilia, dove era arrivato, proveniente dal Veneto, nel 1917, assieme alla famiglia di Cesare Battisti) come quelle del pittore di altezza europea Lorenzo Viani che ha conosciuto, del futurista Ernesto Thayaht vissuto a Marina di Pietrasanta, del gran figurativo Leone Tommasi... ma questi sono soltanto tre fra i molti esempi che potrei fare, sia quelle vissute nel periodo della “Scuola Romana” accanto ai vari Arturo Dazzi, Pericle Fazzini, Arturo Martini, Umberto Mastroianni...

Il carico della sua personalità culturalmente elevata s’è positivamente allargato per lo studio degli Etruschi e del Rinascimento, come per l’attenzione verso i maggiori movimenti internazionali del Novecento e per l’adesione a mentalità facenti parte di un fiume nel quale ha nuotato con impeto, alla stregua di Jackson Pollock, Piet Mondrian, Henry Moore, Archipenko, Emilio Vedova, Jean Arp, Ossip Zadkine..., vivendo in unione con amici di alterne vicende locali, tipo Aristide Coluccini.  

Ci si può chiedere, a questo punto, come abbia fatto Miozzo a guardare sempre attivamente e fluidamente persino ad altre vicende concettuali connesse alle figure di Carlo Carrà o di Achille Funi (ne restano potenti dipinti dedicati più che altro agli spazi pinetati de “La Versiliana” e alla spiaggia di Fiumetto) e a distendere allo stesso tempo la propria ottica su posizioni apparentemente diverse e opposte, esprimendosi con la figura e con l’astratto.

Beh, per me Franco Miozzo è un Grande.

Se taluni a questo punto potrebbero dire che la sua notorietà non è giunta almeno alla pari di quella d’altri (di nomi ne ho citati), bisogna sapere che al termine della Seconda Guerra Mondiale che l’aveva visto penare sul fronte Jugoslavo (era rimasto colpito anche dall’eccidio perpetrato dalle truppe naziste a Sant’Anna di Stazzema tanto da rendere omaggio ai quasi cinquecento Martiri – primo fra tutti e massimo tra gli Artisti in quel periodo – con disegni, dipinti e sculture) scelse di fermarsi nell’amata Pietrasanta, ovvero nella Versilia comprendente anche Camaiore, Forte dei Marmi, Massarosa, Seravezza, Stazzema e Viareggio, per sostenere affettivamente e materialmente la propria famiglia.

Fece dunque l’insegnante all’Istituto Statale d’Arte “Stagio Stagi” lasciando una traccia indelebile in tanti allievi, assieme ad altri – tipo, solo qualche esempio a caso, pur se tutti andrebbero ricordati: Bruno Antonucci, Uberto Bonetti, Lido Bovecchi Alfredo Catarsini, Aristide Coluccini, Enzo Dati, Guido Renai, Bruno Campioni, Guido Tesconi ... ma tali notizie sono state ben fissate da Giuseppe Flora ed Emilio Paoli nel libro “I 130 anni dello “Stagio Stagi” (Tip. “La Darsena”, Viareggio 1977) – vivendo però nell’unicità della paesaggistica completa cui ha dedicato molte opere, in una situazione peraltro consona alla storia artistica e artigianale, agendo e vivendo in un ambiente sempre più vivace soprattutto a partire dalla fine degli anni Cinquanta, stante l’arrivo di scultori e pittori soprattutto dagli Stati Uniti, dalla Francia, dall’Inghilterra e da altre Nazioni.

La ricerca del nuovo, la stessa che negli anni Trenta l’aveva fatto andare a Roma, lo ha in un certo senso ancorato a Pietrasanta.

E allora?

La fortuna.

Penso gli sia mancato quel pizzico di fortuna atto a fargli fare il salto anche in un mercato vasto, come avrebbe meritato. 

Non è che poi a Miozzo sia importato più di tanto il dato economico (si accontentava di quel che aveva), visto che per lui era vitale dipingere e scolpire, ma credo basterebbero da sole le sue sculture di arredo urbano disseminate nel Parco Internazionale della Scultura Contemporanea di Pietrasanta, grandi oli quali “Nascita di Venere versiliese” e “Dedicato a S. Anna” e il marmoreo “Vortice” (splendido, degno dei massimi musei!) di proprietà dalla Banca di Credito Cooperativo Versilia Lunigiana Garfagnana, per decretarne l’altissimo livello espressivo.  

Ciò che di lui mi importa dire è che avrebbe avuto senz’altro la fama di certi altri se fosse restato nella Capitale o se avesse deciso di trasferirsi a Parigi o a Milano; purtroppo, lo penso e lo scrivo, l’evento bellico per lui è stato devastante, come carriera, e poi aveva una visione talmente allargata da non essere stato capito se non da alcuni proprio in Versilia (a Pietrasanta in particolare).

Amava la cosiddetta tradizione e anche il resto, “il nuovo”, ma con ciò non è detto che gli siano mancate soddisfazioni morali.

A questo punto vorrei sottolineare una serie di aspetti che possono darne l’esatta dimensione, condivisi peraltro con altri.

Miozzo è stato un coerente professionista dalle vaste capacità tecniche il quale, diversamente da molti, ha rigettato quell’arte accademica, altrove persino mascherata con audaci virtuosismi, in fondo piacevole ma con la negativa risultanza che chiamerei “disgregazione etica”. 

Gli dedicai non certo a caso la copertina del mio libro/documento del 1993 “La Versilia e l’arte” (Ed. Il Dialogo, Marina di Pietrasanta), affermando testualmente che “(...) lo scrivere su Miozzo significa giustamente esaltarne l’uomo nella ricerca continua, nel suo colloquio con i singoli e l’ambiente e con la collettività, in modo da creare quel tutto armonico che ama fuori di misura proprio perché ha saputo unire le sue emozioni con quella realtà delle cose osservata, scrutata magari tenendo conto di un passato, ma poi riportata nel presente per concretizzare la solidità del proprio pensiero: il bisogno di esprimersi ha convinto Miozzo a compiere opere d’arte che fanno parte del suo viaggio oltrepassando la barriera della pura descrizione od esposizione, per trasmettere effettivamente un “dire” che è arte autentica, ben lontana dalla “non arte” nella quale il tema e il contenuto non sanno uno dell’altro”.

E’ stato se stesso, non ha voluto rinunciare alla propria artisticità elargendo qualità e dimostrandosi sempre autentico.

Amo il concetto per cui ogni collettività che mette insieme gli uomini professionalmente e socialmente si rinnova tramite i propri artisti, poeti, artigiani, creatori di istituzioni; ecco che l’arte di Miozzo ha continuato imperterrita a cucire il passato al suo presente, indicando una vitalità di pensiero che l’ha riflettuto in pieno, l’ha cioè rispecchiato come uomo che le ha dato un’autentica “testimonianza di vita”, vale a dire una moralità, indicatrice di un qualcosa di educativo.

Con lui l’arte è stata un’effettiva integrazione con l’esistenza stessa, sia nel racconto/interpretazione di paesaggi innevati, di cave martoriate dalle ferite di marmo, di raccoglitrici di olive..., o di segni/segnali/forme e simboli multitematici concretati con oculatezza e disciplina, con intuizione e in un tutto col quale è riuscito a comunicare.

Il lavoro è stato per lui un’effettiva conquista di realtà, direzionata in più pensieri e precisata con forme autonome, tant’è che leggendone l’Opera (in senso lato), non è arduo notare come le sue innumerevoli pagine e i conseguenti capitoli siano uniti nei contenuti e nei significati.

Sapendo che oltre le mie semplici ristrette parole, è il lavoro completo di Franco Miozzo a presentarlo – fraterno amico che è oggi nel mio cuore come lo sarà per sempre – termino queste righe con un concetto in cui credo, cioè che l’Arte (quella vera, cui egli appartiene) è l’effettiva integrazione con l’esistenza interpretata e vista quale verità donatrice della certezza di continuare a esistere.

 

Forse è dedicata proprio a lui una breve dolcissima poesia intitolata “Fantasia” (3):

 

“Sono stupendi

i mondi

della

tua fantasia

che palpitanti

tessono tessono

la vita”.    

        

(1)-Vedasi, rispettivamente: Lodovico Gierut, Il “San Martino” di Franco Miozzo, Petrartedizioni, Pietrasanta 2000; Marta Gierut,

      In Franco Miozzo, a cura di Lodovico Gierut, Comitato Archivio artistico-documentario Gierut, Marina di Pietrasanta 2007. 

(2)-Andrea B. Del Guercio, Franco Miozzo: pittura-sculttura, Compagnia dei Librai Editrice, Genova 1985.

(3)-Marta Gierut, Il volto e la maschera, poesie e opere, editoriale Giorgio Mondadori, Milano 2012. 

 

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